comunicato stampa - 24 novembre 2014 Stampa

COMUNICATO STAMPA

  

Una democrazia che racchiuda in sè la giusta sintesi tra quella partecipativa, quella diretta e quella deliberativa, affinchè si torni a mettere la persona al centro dei processi democratici e decisionali attraverso la sua fattiva e reale partecipazione. In tutto questo, è importante il recupero dei cosiddetti corpi intermedi, primi tra i quali i partiti politici che oggi vivono un momento di crisi, un po' a causa della sfiducia che si è creata da parte dei cittadini ed un po' per il proliferare del populismo e per l'errato uso dei mas media e del web.

E' emerso questo, in sintesi, dal seminario di studi intitolato: Democrazia deliberativa. Democrazia partecipativa. Caratterizzato anche dalla presenza di Giuliano Amato, giudice della Corte costituzionale ed ex presidente del Consiglio dei ministri, che ha tenuto una lectio magistralis così come la docente di istituzioni di diritto pulbblico, democrazia partecpativa-governance dell'Università degli studi di Perugia, Alessandra Valastro.

Sala blu di palazzo Gazzoli gremita, sabato 22 novembre, con più di 500 presenti. E' stata l'occasione anche per ricordare, a dieci anni dalla sua scomparsa, la figura ed il ruolo del notaio ternano Luciano Clericò. Iniziativa organizzata dal Centro studi Ezio Vanoni, con il patrocioni degli ordini professionali degli avvocati e dei notai e del Comune di Terni.

Soddisfazione, per come è andato il seminario, da parte dei responsabili del Centro studi Vanoni, in particolare dal presidente Vincenzo Micheli e dalla responsabile organizzativa Renata Natili Micheli. Proprio quest'ultima ha aperto i lavori, introducendo la giornata di studi, ringraziando anche gli ordini dei notai e degli avvocati per aver partecipato ad organizzare l'evento. «Questa iniziativa – ha detto - può sembrare stonata rispetto al momento in cui si trova la città, con una crisi industriale che dopo 60 anni sembra volerla spogliare della sua storia. Ma la democrazia è una strada ampia che può essere percorsa da tutti. Affezionati come siamo alla costituzione, tutti i soggetti, anche quelli intermedi previsti dall'art.3 della Costituzione, debbono intervenire nel processo democratico. La domocrazia italiana è studiata come un caso particolare: democrazia asfittica che procede per colpi di magioranza nella quale il Parlamento sembra più seguire le regole di un gioco precostituito poiuttosto che dare ragione del mandato».

Un'introduzione ai temi trattati è arrivata anche dal saluto dei rappresentanti delle istituzioni. Francesca Malafoglia (Vicesindaco di Terni), ha ricordato come assumere un ruolo in politica significhi mettersi in discussione e confrontarsi sui nuovi bisogni. «Non possiamo trascurare la richiesta dei cittadini di partecipare alle scelte che li riguardano. La democrazia partecipativa è l'elemento cruciale che delinea l'agire per il bene comune. Servono strumenti che consentano alle amministrazioni di lavorare insieme ai cittadini». Secondo Marina Sereni (Vicepresidente della Camera dei deputati), ci si deve interrogare su quali forme di partecipazione tra cittadini e istituzioni si possono sperimentare per aiutarci ad uscire dalla crisi e a ritrovare fiducia nel futuro e nelle istituzioni. «Non si esce dalla crisi, senza democrazia. Ci sono molte vie di democrazia e tutte possono concorrere ad un livello più alto di vita. E questi non sono i tempi della conservazione e della manutenzione delle vecchie strade, ma quelli dell'ammodernamento della strede cha abbiamo già conosciuto». Aggiungendo che «oggi la trasformazione e l'umanizzazione della società e la nuova alfabetizzazione democratica dei cittadini, non passano più solo dai partiti e dalle istituzioni rappresentative. Un'integrazione tra democrazia rappresentativa rimodellata e modernizzata e democrazia deliberativa, può permettere di dare risposte migliori ai cittadini».

Il primo a sviluppare i temi è stato Maurizio D'Errico, presidente del Consiglio nazionale del notariato), il quale ha sottolineato la complessità dei concetti, evidenziandone pregi e difetti. «Nel modello partecipativo, la decisione razionale arriva attraverso la contestazione dei singoli e dei movimenti sociali che rivendicano esigenze di partecipazione e controllo. Sono procedure che coinvolgono l'ndividuo ed i movimenti sociali e creano un relazionamento tra società ed istituzioni. Ma ha anche dei limti: pur cercando di rivolgersi a tutti, riesce a coinvolgere una parte spesso limitata della popolazione, quella più colta e motivata. Così come può influenzare il potere pubblico senza vincolare giuridicamente il soggetto decidente. Nella democrazia deliberativa, invece, la decisione razionale si ottiene con il dialogo, per una coassunzione da parte di chi partecipa. Non decidono solo i rappresentanti del popolo, ma direttamente il popolo che partecipa alla pubblica adunanza. Ma è anche vero che in questo modo si finisce per spacciare per novità aspetti che nuovi non sono, oppure un modello ideale che non fa riferimento ad uno specifico ordinamento giuridico. La partecipazione si basa su processi discorsivi e non necessariamente dialogici e deliberativi. La deliberazione è invece un processo che genera un consenso attraverso un metodo dialogico». Ha portato l'esempio di un risultato ottenuto proprio dalla categoria dei notai: «Siamo riusciti ad ottenere dei successi in campo legislativo, come le audizioni sull'emergenza abitativa, dopo le quali abbiamo ottenuto una normativa che rende possibile il godimento della proprietà prima del trasferimento (rent to buy) che sta sbloccando tante aziende edili in crisi. Abbiamo anche illustrato l'importanza di deflazionare il carico giudiziario ed il nostro apporto nel meccanismo delle successioni con un cerificato per le successioni all'estero, o l'ottenimento che stiamo per avere di un registro di succesioni in Italia affidato al notariato. Tutto questo grazie proprio a questo metodo di democrazia». Ha parlato dei rischi ai quali si espongono le pratiche partecipative, dati da conformismo, contrapposizione e manipolazioni e tendenza ad esacerbare i conflitti anzichè ricomporli. Chiudendo, poi, dicendo che «La rappresentanza degli interessi può aggiungersi alla rappresentanza politica. Non può aspirare a sostenerla. Forse spetta a quella politica supplire ai difetti della prima, dando la possibilità agli interessi non organizzati di trovare nel Parlamento un interlocutor adeguato. Ma il complesso della democrazia non può essere studiato da una sola angolazione. E' auspicabile cercare di conciliare gli ideali della deliberativa, le forme della partrecipativa e la realtà della rappresentativa».

Alessandra Valastro, ha analizzato i concetti legati alla democrazia ed ai modelli ad essa legati. «Già il dibattito sui primi tre articoli della costituizione, conteneva affermazioni attualissime anche oggi, come quando si diceva che il concetto di popolo non può essere fatto coincidere con quello di corpo elettoriale, o che la presenza del popolo non deve esaurirsi nel momento del voto e l'esercizio della sovranità deve essere permanente. I rischi di cui parliamo oggi, fuono già paventati dall'Assemblea costituente. Oggi, nell'epoca delle crisi, delle fragilità e delle nuove problematiche, siamo in una fase di ritorno verso la complementarietà tra tutte le forme di esercizio di sovranità, qundi tra democrazia partecipativa, deliberativa e diretta. Ci sono fragilità e problematiche che oggi impongono questioni di una complessità inedita (crisi, rifiuti, energie rinnovabili, nuove forme i povertà...) che non possono essere più affrontate nella logica dei diritti, ma richiedono forme di circolarità nella costruzione delle risposte. Serve il recupero di una collaborazione tra tutti i soggetti di un territorio e le istituzioni. C'è bisogno di conoscere bisogni e abitudini degli abitanti. Il modello rappresentativo ci richiama la necessità di integrare i saperi civici nei processi decisionali e nell'amministrazione concreta dei bisogni. Oggi c'è una corsa alla regolamentazione di questi strumenti da parte degli enti locali e dei comuni, che stanno recuperando il senso di regola come garanzia. Vanno scardinati alcuni meccanismi come la concertazione (che in realtà è partecipazione di pochi, rappresentativi di interessi forti) per un'inclusione di tutti i soggetti interessati cercando le categorie e maggiore rischio di esclusione. I processi partecipativi dovrebbero anche mettere a riparo da alcuni rischi, come la facile strumentalizzabilità a fini populistici e demagogici. Attenzione, perchè tra partecipazione e populismo c'è un filo molto sottile». Ha fatto riferimento alle nuove esigenze da parte degli enti locali a rinnovare e modificare gli statuti, soprattuto sulle partecipazioni ai processi decisionali e sull'amministrazione condivisa dei beni comuni: «Nel 2014 c'è stato un picco inaspettato di questo fenomeno». Infine, ha introdotto il concetto di democrazia diìefinita come "resiliente": «Giungere alla strutturazione di un metodo di governo partecipato e partecipativo, ci potrà consentire anche di eliminare il termine "partecipativa" in favore del termine "resiliente", che indica la capacità di superare un urto improvviso, o qualcosa di destabilizzante, e ritrovare con strategie adattive una nuova posizione di equilibrio diversa da quella di partenza». In conlusione del suo intervento, ha fornito anche un'anticipazione riguardante il territorio ternano, annunciando la disponibilità del Laboratorio per la sussidiarietà (Labsus) ad individuare un progetto per una cura condivisa: «Per la congiuntura particolare che Terni presenta, si può lavorare alla sperimentazione di uno strumento di questo tipo. In questa città, infatti, ci sono tre presupposti dasi quali partire al meglio per lavorarci su: una fragilità econonmia particolarmente grave, una tenuta sociale forte, un'amministrazione aperta e disponibile».

La sintesi tra i vari tipi di democrazia e l'importanza della partecipazione dei cittadini attraverso partiti e soggetti intermedi preposti, hanno trovato sviluppo ulteriore e ancora più approfondito nella relazione di Giuliano Amato, il quale è partito dalla complessità della dottrina in materia. «E' importante – ha detto - capire bene i termini che si usano. Democrazia deliberativa non è democrazia che decide, ma che dialoga». Partendo anche dalla complessità dei problemi sociali e dell'aspetto comportamentale di ciascun individuo di fronte a decisioni spesso accettate senza averle discusse o senza conoscerle,  ha spiegato come si procede nei vari tipi di democrazia. «Nella procedura della deliberativa ci sono due cose importanti: La prima è che ci siamo noi a discutere e si consente a chiunque di concorrere ad una decisione. La seconda è che non arriveremo alla soluzione giusta, ma è possibile arrivare a conoscere argomenti rilevanti, per quella decisione, di cui non sapevanmo nulla e, senza i quali, avevamo un'idea sbagliata su quell'argomento. Insomma, discutere significa anche sviluppare opinioni e approfondire meglio la conoscenza delle questioni». Le democrazie dovrebbero raccogliere le aspettative di tutti, filtrarle, aggregarle, trovare le risposte necessarie. «La grande invenzione del ventesimo secolo per far funzionare la democrazia è stata quella del partito politico, nel quale si può entrare e partecipare interattivamente a processi decisionali. I partiti hanno avuto una capacità aggregante sufficiente a mantenere una democrazia funzionante, Ora, per tante ragioni i partiti perdono questa capacità, diventando sempre di più delle pertinenze delle istituzioni. Oggi, molti di noi sentono una differenza tra i cittadini e chi sta nei palazzi. E' anche vero che, crescendo l'istruzione, cresce la capacità di ognuno di autointerpretarsi.  Altre volte, alcune risposte stanno in conoscenze prettamente specialistiche che solo pochissimi hanno. In quest'ultimo caso, non c'è partito che riesca ad intervenire». A questo, si aggiunge il ruolo assunto spesso dai mezzi di diffusione di massa. «Nel momento in cui i partiti declinavano, i media hanno creato l'illusione di una democrazia fatta in modo più facile. Si è pensato che fosse più agevole andare in trasmissioni tv, piuttosto che nelle sezioni di partito. I cittadini seguono , ma finiscono per trasformarsi in tifosi di una o un'altra fazione. E in questo modo, l'interazione non c'è più». L'auspicio, dunque, è il rilancio della possibilità data ad ogni cittadino (sancita dall'articolo 49 della Costituzione) di organizzarsi in partiti politici per concorrere con metodo democratico alla determinazione delle politiche nazionali. Basta partire anche dal presupposto che non tutti i cittadini potranno mai avere il tempo o la volontà di farlo, ma è importante che lo facciano più persone possibile. «E' possibile rigenerare la nostra democrazia attraverso una ramificazione dell'uso di questi strumenti? Sì, ma c'è bisogno di cittadini disposti ad impegnarsi in questo. L'importante è che le procedure vengano attivate e vi sia un numero sufficente di cittadini attivi a farle funzionare. In base alla morale della democrazia, ciascuno di noi si sente responsabile. Siamo disposti ad impegnare una parte di noi affinchè la funzioni al servizio del bene collettivo».

Democrazia nel vero senso della parola, senza confonderla con altre forme che, in realtà, non la rappresentano e non la integrano. Come il web, ad esempio. Giuliano Amato  su questo ha detto: «Lo sfogo in rete è sempre caratterizzato da solipsismo, collettivo o individuale che sia. Spesso è discussione tra persone che la pensano tutte allo stesso modo e, se arriva qualcuno che dice un cosa diversa, non viene neanche accolto nella discussione. Questa è la cosa più pericolosa. Così come lo è il sondaggio, che è il simmetrico della cosiddetta democrazia plebiscitaria nella quale l'aggettivo nega di per sè il sostantivo. Ed oggi la democrazia è in crisi proprio perchè è diventata plebiscitaria». Secondo Alessandra Valastro, «bisogna fare attenzione al web, che può diventare uno strumento ambiguo. Non basta, infatti, essere in tanti in rete per assicurare la democraticità di quanto si decide. Anche con le migliori intenzioni».

 

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Il seminario di studi è stato organizzto e voluto in occasione dei dieci anni dalla scomparsa del notaio Luciano Clericò, stimato professionista ternano. La sua figura ed il ruolo che ha a avuto nella vita cittadina ternana, sono stati ricordati dai presenti. In special modo, da chi lo conobbe personalmente.

«Non  c'è bisogno – ha detto Renata Micheli - di spendere tante parole per ricordare il rulo avuto da Luciano Clericò a Terni».

Anche Giuliano Amato ha parlato di lui: «Siamo tutti qui per il ricordo di una grande persona. Vedendo in quanti oggi sono venuti qui, si capisce che, per questa città, un personaggio simile può aver rappresentato una sicurezza ed un punto di riferimento».

Sentito e commosso il ricordo del figlio, Vincenzo Clericò: «Sono sicuro che mio padre, in questo momento di crisi della città, avrebbe fatto qualcosa. E' stato un uomo d'azione. Ha sempre affrontato i problemi in modo razionale. Avrebbe condiviso l'iniziativa di oggi, che pone al centro dell'attenzione la partecipazione dei cittadini alla vita democratica. Ha ringraziato i collaboratori dello studio del padre. «Anche grazie a loro, lui ha potuto distogliere parte del tempo alla sua professione per dedicarlo alla vita della città».

«Del collega Clericò – ha detto Fulvio Sbrolli, presiente del Consiglio dei dustretti notarili di Terni, Spoleto e Orvieto - devo ricordare le qualità come collega. Non sta a me ricordare le qualità professionali, che sono note. Vorrei ricordarlo per l'amore vero e la dedizione che aveva verso il notariato e le pubbliche funzioni che il notariato svolge. Aveva tre qualità importantissime: era un grande comunicatore, rispettava le istituzioni ed aveva la dote non comune di essere un amorevole e attento conciliatore di eventuali conflitti che potessero sorgere tra noi ed altri ordini professionali».

D'Errico aggiunge: «Fu consigliere nazionale del nostro organismo, dal 1998 al 2004, in un momento politico diverso da quallo di oggi. Ma quelle due consiliature cominciarono a preparare la ricostruzione del sistema notariato. Nel settembre scorso siamo stati contattati dall'ambasciatore cinese ed ha chiesto 45 minuti di tempo per il ministro della giustizia della Cina presso il consiglio nazionale del notariato, per capire le  logiche di questo nostro sistema».

Anche la vicesindaco Malafoglia ha sottolinato la «giornata in ricordo di una grandissima persona che ha onorato la città».

Fino al ricordo di Stefano Neri, presidente della Confindustria di Terni: «Clericò è stato un uomo illustre. Alcuni elementi della sua vita sono egregi ed insoliti. Aveva due peculiarità che solo le persone di estrema intelligenza coniugano in modo continuo: il rispetto consapevole della tardizione ed il desiderio continuo di innovazione. Ricordo l'attenzione che ha dedicato alla sua famiglia ed alla sua terra d'origine, la Calabria. Pur essendo molto in vista, non aveva nemici. Fu tra i primi ad avvertire la necessità di un cambiamento nell'approccio alla cosa pubblica».

 

TERNI 24 novembre 2014

 

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