Home OGGI PER DOMANI LE “MIE PRIGIONI” DI ENZO TORTORA OVVERO QUANDO LA GIUSTIZIA FA PAURA
LE “MIE PRIGIONI” DI ENZO TORTORA OVVERO QUANDO LA GIUSTIZIA FA PAURA PDF Stampa E-mail

I coni d’ombra dell’ Italia moderna

LE “MIE PRIGIONI” DI ENZO TORTORA OVVERO QUANDO LA GIUSTIZIA FA PAURA

 
di Adriano Marinensi
 

 in "Umbria Settegiorni"

06 maggio 2011


     In un Paese civilmente avanzato, la fiducia nella giustizia non dovrebbe mai venir meno. A volte però, la certezza del diritto subisce sconfitta a causa di qualche “incapacità” di troppo nella sua applicazione. E si innescano vicende allucinanti. Come allucinante fu l’”errore giudiziario” che – nei primi anni ‘80 - distrusse la carriera e la vita di Enzo Tortora, il popolare presentatore di “Portobello”, il mercatino del venerdì, una delle trasmissioni televisive di maggiore successo, che arrivò ad avere 20 milioni di telespettatori. Con il pappagallo a fare da mascotte. C’è una foto simbolo, nel calvario di Tortora, apparsa su molti giornali. Vi è ritratto, con le manette ai polsi, lo sguardo perso, tra due carabinieri, sulla porta di un albergo romano. Venne tratto in arresto nell’ambito del maxi blitz realizzato dalla Procura di Napoli che, in un solo giorno, emise 856 mandati di cattura, con 412 arresti (molti degli indiziati erano già in carcere). Alla base di così tanti provvedimenti restrittivi, stava un rapporto investigativo di 3800 pagine, che qualcuno definì la “Treccani” della malavita campana. Finirono dentro professionisti, imprenditori, politici, malavitosi e persino una suora. L’operazione decapitò la Nuova Camorra Organizzata (NCO) di Raffaele Cutolo, l’ex contrabbandiere di sigarette diventato il capo di uno “stato mafioso” di tipo moderno. Accadde una volta che la sua roccaforte, Ercolano, la dovettero cingere d’assedio. Regnava sulla Campania, quasi fosse il tempo dei Borboni.
     Dunque, Enzo Tortora lo arrestano alle 4 di notte del 17 giugno 1983 (venerdì 17), come è d’uso nelle pratiche di giustizia riguardanti un accusato di  “partecipazione ad associazione per delinquere di stampo camorristico e traffico di droga”. Nientemeno ! E’ l’atto spettacolare (fotografi e teleoperatori sono presenti in forze dinnanzi all’Hotel) della sua tragedia morale e umana. Che inizia con l’entrata in scena di due fior di pregiudicati pentiti, Giovanni Pandico e Pasquale Barra, ai quali gli inquirenti danno credito (non dovuto).  Barra, in particolare, riferisce di uno “sgarro” : Tortora ha spacciato una grossa partita di eroina per conto della camorra e si è tenuto il ricavato. Alle testimonianze accusatorie del duo Pandico – Barra, altre ne vengono aggiunte. Perfino quella dell’ennesimo pregiudicato, Domenico Barbaro, il quale si è molto risentito per dei centrini, ricamati in carcere, inviati a Tortora perché ne parlasse a “Portobello” e che s’erano persi negli uffici della RAI. C’è pure a verbale la deposizione di un improbabile pittore (Giuseppe Margutti) in cerca di pubblicità. Insomma un castello accusatorio, contro Tortora, immeritevole di credito. Però da tenere comunque in piedi, stante il clamore suscitato. E poi, una comunicazione televisiva, che si nutre di immagini ad effetto, non poteva archiviare in fretta quella foto e quella storia : c’era dentro un famoso “pinocchio” tra due gendarmi e quindi un trofeo mediatico da esibire. Purtroppo, dalla vicenda Tortora, uscì anche l’immagine di una giustizia pericolosa. La tante volte invocata politica del diritto, rispettosa della libertà e della dignità personale, fece fallimento. Così la regola fondamentale di ogni inchiesta, basata sui “riscontri oggettivi” delle accuse, ineludibile in un sistema democratico. E ci fu, nell’inchiesta, il corollario delle innumerevoli omonimie che falcidiarono gli accusati e la credibilità della sacrosanta “crociata anticamorra”.
     Il galantuomo Enzo Tortora venne sottoposto a tortura. La tortura del carcere preventivo, a volte più affliggente della condanna. Non gli furono risparmiati – a mezzo stampa e negli atti giudiziari – attributi infamanti, dallo spacciatore al riciclatore di denaro sporco, dal “soggetto socialmente pericoloso” al “cinico mercante di morte”. Lo accusarono perfino di aver intascato parte dei soldi raccolti dalla emittente privata “Antenna 3”, in favore dei terremotati dell’Irpinia. Rimase in prigione, a Bergamo, 7 mesi, sino al 17 gennaio 1984, quando gli concessero gli arresti domiciliari. C’è uno strano ricorrere di 17 nel caso Tortora. Oltre ai due appena citati, eccone un altro : il 17 giugno 1984, viene eletto al Parlamento europeo, nelle liste del Partito Radicale. Il 17 luglio 1984, il Tribunale di Napoli emette l’ordinanza di rinvio a giudizio : 66 pagine sono riservate a lui. Il 17 settembre 1985, in prima istanza, viene condannato ad anni 10 e mesi 6 di reclusione. Il 17 giugno 1987, la Prima Sezione della Corte di Cassazione gli restituisce libertà ed onore, confermando la sentenza di piena assoluzione, emessa dalla Corte d’Appello di Napoli il 15 settembre 1986. Quattro giorni prima, di fronte a quella Corte aveva affermato umilmente : “Io sono innocente. Spero con tutto il cuore, lo siate anche voi”. Era tornato agli arresti domiciliari, quasi non bastasse, in conseguenza della condanna di primo grado, essendosi dimesso dal Parlamento di Strasburgo. Quando era agli arresti domiciliari, nella veste di Presidente del Partito Radicale, il Capo dello Stato Francesco Cossiga lo convocò nell’ambito delle consultazioni per la caduta del Governo Craxi (17.11.1985). E pretese che Tortora entrasse nel Palazzo del Quirinale totalmente libero. Riapparve in TV, con il suo “Portobello”, il 28 febbraio 1987, smarrito e smagrito, piegato nel fisico, piagato nell’anima : “Ricominciamo – disse – da dove eravamo rimasti”. Però, ci rimase per poco. Il carcere e il travaglio della lunga vicissitudine giudiziaria avevano contribuito all’insorgere del tumore che lo uccise – aveva 59 anni – il 18 maggio 1988. Come un Silvio Pellico dei giorni nostri, durante la ingiusta detenzione, aveva scritto le sue prigioni, una commovente sequela di lettere alla figlia Silvia. In una si legge ; “Le ore si fanno sempre più pesanti…” Le ore di un uomo stritolato dagli ingranaggi della (mala) giustizia che gli aveva rottamato la vita.

 

Photo Gallery

Cerca

Utilizzando www.centrostudieziovanoni.org, accetti il nostro uso dei cookies, per una tua migliore esperienza di navigazione. Visualizza la nostra cookie policy.

Accetto i cookies da questo sito.